Oggi, rovistando nella sezione “Università” della libreria, mi è capitata tra le mani la mia tesi di laurea.
Sfogliandola, mi sono imbattuto in un punto in cui parlavo delle anti-leggi del marketing del lusso, esposte per la prima volta da Kapferer e Bastien in “Luxury strategy” e il cui assunto di base è:
“Il marketing tradizionale non può essere direttamente applicato al lusso che è, soprattutto, una dinamica sociale. Per cui, quando si gestisce un brand del lusso bisogna dimenticare una serie di leggi del marketing che, qui, non sono adatte, anzi possono danneggiare il brand”
Perché te ne parlo?
Semplice: anche se non devi tenere il timone di un’azienda del lusso per navigare nel mare magnum comunicativo odierno, tra queste anti-leggi ci sono concetti utili anche per gestire brand più “normali” 😉
Le anti-leggi del marketing del lusso
Anche se tutte le maison del lusso hanno reclutato manager del marketing del grande consumo, non si può affermare che questi siano stati assunti per applicare le ricette apprese altrove: sono stati assunti solo coloro che avevano ben compreso il marketing classico, ma che, disponendo in più delle conoscenze culturali e delle competenze necessarie per passare al settore del lusso, sapevano rimettere in gioco alcuni riflessi ereditati da beni della grande diffusione.
Il marketing tradizionale esiste nei brand il cui modello di business non funziona più se non attraverso le licenze, gli accessori e i profumi che, per quei brand, rappresentano la sola fonte di redditività.
Il vero lusso è redditizio di per sé, senza licenze, a patto che applichi le “anti-leggi del marketing appropriato al lusso”:
1. Dimenticare il posizionamento
Nel cuore di ogni strategia di brand, nel marketing dei beni di largo consumo o in quelli durevoli, si trova il concetto di “posizionamento”, di “USP” (Unique Selling Proposition) o di “UCCA” (Unique and Convincing Competitive Advantage). Ogni brand deve quindi specificare il suo posizionamento in rapporto ai concorrenti, per trasmetterlo attraverso i suoi prodotti, i suoi servizi, il suo prezzo, la sua distribuzione e la sua comunicazione. Il posizionamento è, quindi, la differenza creata dalla preferenza tra la marca e quella che si è imposta come obiettivo, come fonte di business e con cui cerca di disputarsi i propri clienti.
Quando si tratta del lusso, essere unici è ciò che conta, non il paragonarsi ad un concorrente. Il lusso è l’espressione di un gusto, di una identità creativa, della passione intrinseca di un creatore: è ciò che fa per esempio Christian Lacroix, è l’immaginario molto solare, forte nei colori, immerso nella cultura del sud francese – non è quindi la ricerca di un posizionamento in relazione a qualcuno che è già presente sul mercato.
L’immaginario sorge da sé stesso. È l’identità ciò che dona al brand una sensazione potente di unicità, di atemporalità e la necessaria autenticità che le consente di durare a lungo. Chanel ha un’identità, non un posizionamento.
L’identità non è divisibile, non è negoziabile, è così com’è. Attraverso l’identità, l’insieme delle sfaccettature che disegnano in che cosa il brand è unico, si scopre un punto chiave per la comprensione del lusso più elevato: il lusso è “superlativo” e non “comparativo”.
2. Il prodotto ha abbastanza difetti?
Il difetto di un prodotto è ciò che crea il suo charme: per la maggior parte delle persone, il lusso è l’apoteosi dei prodotti fatti a mano o artigianalmente. Dal punto di vista funzionale, un orologio Seiko è superiore a molti orologi di lusso: è più preciso (perché è al quarzo) e indica direttamente l’ora, in modo perfettamente visibile (perché utilizza un display digitale).
Se tu acquistassi un orologio di alcuni dei famosi brand di lusso, probabilmente ti accorgeresti che perde un paio di minuti ogni anno: il difetto non solo è conosciuto, ma è dato per scontato – perché è ciò che al tempo stesso gli dona charme e ne garantisce autenticità.
Osserva alcuni degli orologi che offre Hermès, nei quali l’ora è indicata solo da quattro sole cifre: 12, 3, 6 e 9. Devi quasi indovinare l’ora – come se la sapere l’ora esatta fosse in qualche modo poco importante, ma persino un attentato al piacere, disumanizzante. Si è ben lontani dalla precisione dei cronografi all’avanguardia, in quanto i brand del lusso non sono interessate ad essere leader nell’utilità o nella funzionalità: il brand è soprattutto edonista e simbolico.
Naturalmente, se anche il prodotto di lusso non è un prodotto senza difetti, non è vero il contrario: aggiungere difetti a un prodotto standard non lo trasforma in prodotto del lusso.
3. Non adattare mai il prodotto alle richieste dei clienti
Nel marketing tradizionale, il cliente è Re. La marca di lusso è, invece, emanazione della mente del suo creatore guidata da una visione di lungo periodo. Ci sono due modi per farla fallire: non ascoltare del tutto il cliente o ascoltarlo troppo.
Prendi l’esempio di BMW e dei suoi fattori di successo: una chiara identità del brand rispettata dal 1962, sintetizzata da uno slogan – “the ultimate driving machine”, da payoff mai smentiti e tradotti in tutte le lingue, “le plaisir de conduire” e “Vive la difference”. Una proprietà famigliare stabile. Una cultura d’impresa molto tedesca.
Ciò che è meno risaputo, tuttavia, è che, nonostante il proprio successo, il brand è restato fedele a sé stesso grazie alla sua volontà di resistere alle richieste dei clienti quando queste non corrispondevano alla vision molto precisa che il brand aveva riguardo ciò che rendeva tale una vera BMW. I clienti imprecano regolarmente ogni volta che un nuovo modello della Serie 5 viene lanciato, perché è un fatto assodato che non vi sia abbastanza spazio per le gambe per i passeggeri seduti dietro. Secondo loro, una tale ostinazione urta lo spirito razionale e il buon senso.
Ogni volta, però, BMW obietta che assecondare la richiesta dei clienti vorrebbe dire rovinare la purezza del design di questa auto, le sue proporzioni calcolate meticolosamente, così come la sua aerodinamica.
4. Escludere i non adepti
Nel lusso, rendere un brand più diffuso significa diluirne il valore, poiché non solo il brand perde alcune delle sue caratteristiche, ma la maggiore accessibilità erode il potenziale onirico nell’élite e tra gli opinion leader. Il management BMW ha calcolato che il target del brand copre il 20% del segmento premium nella popolazione – solo una persona su cinque.
Ciò significa che l’80% non è per niente attratto dai valori di BMW, che ha preferito escludere questo 80% e basare la sua crescita sul suo vero target, coloro che condividono i suoi valori senza riserve. La crescita è viene perseguita penetrando nuovi Paesi, non in nuovi segmenti di mercato e, per crescere, il gruppo BMW ha preferito acquisire due altri brand che, come BMW, definiscono un segmento – Mini e Rolls-Royce, avendo cura di tenere l’identità dei due brand ben distinta da quella di BMW.
A fine anni ‘70, per seguire la domanda dei consumatori, Porsche seguì le regole del marketing tradizionale: produsse dei modelli meno cari – la 924 e la 944, sempre dotate del logo Porsche, ma su un telaio Audi/Volkswagen e per di più non nel tempio di Zuffenhausen, ma negli ex stabilimenti NSU/Audi di Neckarsulm con manovalanza Volkswagen. Inoltre, tradendo i clienti sinora acquisiti, il motore era anteriore e non posteriore, come tutti i modelli sinora costruiti e come quelli che seguiranno.
Anche se i risultati dal punto di vista economico furono talmente buoni (acquisizione di nuove utenze aspiranti solo a possedere un modello con il logo) che risollevarono il brand dalla crisi che stava affrontando, dal punto di vista dell’immagine e della identità di marca furono un disastro.
Come fece Porsche a uscire da questa crisi di identità? Uscendo dalla trappola dell’accesso facilitato ai non adepti (prezzo “basso” e caratteristiche standard) e quindi mettendo fine alla “democratizzazione” dei modelli 924 e 944. Non solo Porsche fissò un termine della fabbricazione di questi “falsi” modelli, ma decise di creare più valore nel modello 911 al fine di poter incrementare il prezzo e di estendere la sua penetrazione geografica. Il modello 911, ancora esistente al giorno d’oggi, dopo svariati restyling, è divenuto uno dei modelli più apprezzati dal pubblico e dei più profittevoli.
5. Non rispondere sistematicamente alla domanda crescente
In Ferrari, la produzione è deliberatamente tenuta attorno alle 7.000 all’anno: la rarità fa vendere.
A patto che, ovviamente, il consumatore comprenda perché il prodotto è così raro e sia preparato ad attendere. Ma se non si vuole il proprio gioiello, realizzato nella fabbrica magica di Maranello, si può sempre acquistare una Maserati, con una attesa un po’ meno lunga.
La scarsità può essere gestita al pari della relazione con il cliente: non si tratta di incapacità nelle previsioni di vendita, bensì di una strategia deliberatamente scelta di resistere alla domanda per poterla governare. Per entrare in possesso di alcuni modelli di Patek Philippe o di alcune borse di Hermès si deve attendere non meno di un paio d’anni.
6. Dominare il cliente, non cercare l’uguaglianza
Ciò non vuol dire non rispettarli: i genitori “dominano” i loro figli, ma questo non significa non rispettarli. D’altro canto, se li trattassero da “amiconi”, ponendosi al loro stesso livello, perderebbero la loro autorevolezza e disturberebbero profondamente i loro figli.
Questa relazione genitori e figli è molto simile a quella tra brand del lusso e cliente.
Louis Vuitton organizza delle gare di auto sportive antiche, riunendo gli appassionati alla guida delle loro coupé d’epoca, prestigiose ed eredità del tempo. Ma ciò non è fare relazioni con il cliente: è intrattenere con il mito. Il brand del lusso deve essere preparato a ricoprire questo ruolo di consulente, educatore e guida. E, da questo punto di vista, è semplicemente obbligata a dominare.
7. Creare barriere all’ingresso
Maggiore è l’inaccessibilità – sia essa reale o virtuale – maggiore è il desiderio.
Il lusso deve sapere come creare gli ostacoli necessari per creare la tensione del desiderio – e deve saperli tenere alti nel tempo. Si arriva a un prodotto del lusso superando una serie di ostacoli – di natura economica, ovviamente, ma più specificamente culturali (si deve sapere come apprezzare il prodotto, indossarlo, consumarlo), logistici (si devono trovare i negozi) e temporali (aspettare due anni per un collier di perle di Mikimoto, un tempo imprecisato per la Kelly di Hermès o per una Ferrari).
Il lusso deve eccellere nella pratica della distribuzione della rarità, senza che questo sia causato da effettiva penuria di prodotto. Ciò è piuttosto naturale: così come la mancanza di prodotto impedisce la crescita, così l’assenza di rarità porta a dissipare immediatamente il desiderio e, di conseguenza alla eliminazione di quel tempo d’attesa che alimenta il lusso.
Per creare questo ostacolo al consumo immediato, dovrebbe sempre essere necessario attendere per un prodotto del lusso: il tempo è una dimensione chiave del lusso, così come del desiderio per qualsiasi cosa che sia anche lontanamente sofisticato.
8. Proteggere i clienti dai non-clienti
“Troppa apertura” nuoce alla funzione sociale del brand. Il successo di Ralph Lauren ha minato le basi del suo successo con i businessmen in Europa: sfoggiare la famosa polo dava loro la possibilità di essere diversi da Lacoste, l’altro grande premium di casual wear dal quale Ralph Lauren ha tratto ispirazione ai suoi inizi negli Stati Uniti.
“Chiudere troppo” significa, al contrario, creare immobilismo, confinarsi troppo a parte e andare verso l’asfissia finanziaria. La pubblicità è per tutti, ma le pubbliche relazioni sono estremamente mirate, come il CRM per i privilegiati: inviti personali per incontrare lo stilista, il “naso” del brand di profumo, o il responsabile buyer dei vini.
Nelle linee aeree, oggi si fa di tutto per fare in modo che i passeggeri della nuova prima classe non debbano mai incontrare gli altri passeggeri, siano essi della business class (figuriamoci quelli della economica), e ciò vale non solo per l’imbarco, ma anche da quando lasciano il proprio ufficio fino a quando arrivano dopo nell’ufficio della loro destinazione –come avessero un jet privato. Ciò che caratterizza un club privato di qualità davvero superiore dipende da quanto lo staff è in grado di prevenire che gli “altri clienti” impongano la loro presenza ai loro clienti.
9. Il ruolo della pubblicità non è di vendere
Intervistato sul suo ruolo, il responsabile BMW in USA ha risposto che, tra i clienti che facevano trading up e il desiderio accumulato dai guidatori più giovani, l’obiettivo di vendita per l’anno successivo veniva raggiunto al 90% quasi automaticamente. “Ma, allora, a cosa serve avere un direttore?” La sua risposta fu semplice, diretta e molto illuminante: «Il mio ruolo è fare in modo che i diciottenni in questo Paese, decidano che non appena avranno dei soldi, compreranno una BMW. Io devo fare in modo che quanto vanno a letto la notte sognino una BMW».
Nel lusso, il sogno viene prima: le spiegazioni del venditore sono solo delle razionalizzazioni a posteriori. Ecco perché servono le pubblicazioni del brand: raccontano le sue origini, i processi di perfezionamento per rispettare un unico concept, i modelli realizzati uno per uno, ecc. Occorre sempre fornire al cliente del lusso la giustificazione di ogni euro speso con delle qualità accettabili dal pubblico esterno, anche se il sogno è il vero motore dell’acquisto.
La pubblicità si nutre di mito, di mistero, di magia, di corse, di eventi “privati”, di “product placement”, di arte – elemento molto importante per ogni brand del lusso. Nel 2004, BMW chiese a registi di Hollywood di fare un film ciascuno sul brand; non una pubblicità da trasmettere sulle diverse reti TV, ma un vero film di diversi minuti, dando completamente loro carta bianca. Questi film sarebbero stati trasmessi esclusivamente su Internet. Fu un successo immediato: e questi film “virali” raggiunsero tutti coloro che avevano sognato, amato o che erano interessati a BMW. In più, facendo molto parlare di sé contribuirono a intensificare il “buzz”, dando al brand un look moderno e fresco, caratteristiche che anche il più tradizionale dei brand deve possedere. Il sogno, quindi, deve essere continuamente ricreato e sostenuto, perché la realtà uccide il sogno.
10. Comunicare anche all’esterno del target
L’equazione del sogno ci fa ricordare anche che il lusso possiede due sfaccettature: il lusso per sé stessi e il lusso per gli altri.
Per sostenere questa seconda sfaccettatura, è essenziale che ci siano molte più persone che conoscano il brand rispetto agli acquirenti potenziali. Inoltre non si può mai escludere che qualcuno non appartenente alla tipologia di clienti del brand – definita dal loro reddito – acquisti ugualmente il prodotto, poiché il denaro non tutto.
Nel lusso, se una persona ne guarda un’altra e non riconosce il brand di ciò che quest’ultimo indossa, parte del valore è perduto. È essenziale, quindi, diffondere la brand awareness oltre il target prefissato. A seconda dei brand questa diffusione sarà più o meno ampia: così, nel settore della nautica di lusso, Riva è un nome ben conosciuto, ma Wally lo è molto meno. Allo stesso modo, nell’orologeria, Cartier è conosciuto da tutti, Tag Heuer comunica con tutti e lo sta diventando, ma Mellerio non lo è, salvo per un piccolo numero.
11. Il prezzo “presunto” deve essere sempre superiore al prezzo reale
Come regola generale, nel lusso il prezzo che ci si immagina deve sempre essere più alto del prezzo reale.
Quando qualcuno indossa un orologio Pasha Cartier, tutti più o meno, ne conoscono il prezzo, ma tendono a sovrastimarlo (l’effetto alone del lusso). E ciò valorizza colui che lo porta; quando si regala un oggetto del lusso, il gesto è ancor più apprezzato tanto più il prezzo viene sovrastimato.
12. Non è il prezzo che fa il lusso, ma il lusso che fa il prezzo
Nel lusso, prima si crea il prodotto, poi si stabilisce a che prezzo sia possibile venderlo; più il prodotto è percepito dal cliente come lusso, maggiore dovrebbe essere il prezzo.
È l’opposto di quanto applicato nei prodotti classici o in quelli del trading up, dove il marketing cerca di scoprire a quale livello di prezzo c’è spazio per un nuovo prodotto. Quanto detto comporta anche delle conseguenze per le tecniche di pricing: si comincia con un prezzo basso – ma attenzione – producendo poco, per creare una penuria tanto più forte rispetto a un prezzo ragionevole – ma mai troppo, per essere considerati di lusso. In seguito la marca del lusso fa salire progressivamente il prezzo.
Se il volume di vendita aumenta, la marca è nel lusso: “il lusso fa il prezzo”. C’è una conseguenza fondamentale per le vendite. Il personale di vendita in un negozio non dovrà cercare di vendere: il loro compito sarà quello di aiutare a capire, di far condividere il mistero, lo spirito dei luoghi, gli oggetti e il tempo investito all’interno di ciascun oggetto – il che spiega il prezzo. I clienti saranno liberi di acquistarlo più avanti.
13. Aumentare il prezzo nel corso del tempo per far crescere la domanda
È con l’aumentare i prezzi – e, ovviamente, reinvestire questi profitti eccezionali nella qualità e nella comunicazione – che un brand può rimanere nel mondo del lusso. Il prezzo è un fattore decisivo nell’introdurre un cambiamento di mentalità in quanto ogni persona all’interno cerca, per parte sua, di trovare nuovi modi per creare valore per i clienti. È questione di essere all’altezza del prezzo.
Come ha fatto Cristal Roederer a decollare? Nel momento in cui l’importatore dalle migliori marche di champagne di New York, stanco di vedere ferme le vendite dietro a quelle di Dom Pérignon – venduto a prezzi più elevati – decise di vendere Cristal il 40% più caro dell’icona del lusso dello champagne.
14. Far crescere il prezzo medio della gamma di prodotto
Un brand del lusso deve sempre sembrare di essere intento a ricostruire il divario, ri-stratificando la clientela, e come tale agisce da visibile agente di meritocrazia.
Un brand che non riesce a crescere in termini di volumi e redditività se non lanciando prodotti accessibili, dimostra di non far più parte del mercato del lusso. Per esempio, il fatto che Mercedes abbia lanciato in passato il suo top-of-the-range con un diverso “brand name” (Maybach), rivela il suo presunto cambiamento di strategia: Mercedes da allora in poi sarà il costruttore di automobili “regular” e “premium” e la gamma di lusso sarà invece sotto il brand Maybach, non più Mercedes.
La sua crescita non si basa sulla rincorsa di una clientela di livello minore, ma nel trarre vantaggio dalla crescita economica globale che sta creando in tutto il mondo migliaia di nuovi ricchi e di molto ricchi. Queste persone stanno cercando un modo per ricompensarsi (attraverso i prodotti) e un simbolo (il brand) per il loro accesso al “Club”, purché siano sicuri che si tratti di un club chiuso – in cui non ci si mescoli con la gente sbagliata. Ecco perché il prezzo medio deve continuare a salire, essendo ben sicuri che questa crescita sia coerente con il valore del prodotto o servizio.
15. Non cercare di vendere
Nella strategia di incrementare sistematicamente tutti i prezzi, occorre essere pronti a perdere delle vendite, a perdere dei clienti.
Nel lusso, non cercare troppo affannosamente di vendere è un principio fondamentale nella relazione con i clienti: si deve raccontare al cliente la storia del prodotto, i fatti, ma non mettergli pressione perché acquisti immediatamente.
16. Fare attenzione alle star nella pubblicità
Ricorrere alle stars per promuovere prodotti del lusso è un assoluto controsenso – eccetto che sotto forma di testimonial – ed è estremamente pericoloso.
Un autentico brand del lusso deve essere corteggiato dalle star: li si deve rispettare, ma si deve anche dominarli. Anche i più famosi.
Ricorrere a una star per “vendere“ equivale a dire che il brand ha bisogno, per sopravvivere, di un po’ di status di questa ammettendo che non se ne ha di proprio. Per un brand del lusso questo è un enorme errore strategico, in quanto capovolge la relazione: il brand del lusso si pone al di sotto delle star. Solo la dominazione del brand, astratta come una divinità, è accettabile, non quella di di questo o di quell’individuo.
17. Coltivare la prossimità con l’arte per iniziati
Il brand del lusso è un promotore del gusto, come con l’arte. Non è un follower: è creativo e audace.
Questo è il motivo per il quale per il lusso è meglio rimanere vicino alle arti “impopolari” – o, meglio quelle non popolari – quelle che stanno emergendo e che non hanno ancora sedotto i più, ammesso e non concesso che questo prima o poi accada. Louis Vuitton sponsorizza da tempo concerti di musica contemporanea, ad esempio portando Maurizio Pollini all’abbazia di Royaumont in Val d’Oise per interpretare la musica di Nono invece che quella di Mozart o di Chopin.
18. Non delocalizzare la produzione per ridurne i costi
Quando si acquista il lusso, si acquista il lusso portatore di una cultura, di un Paese. Una Mercedes fabbricata in Messico è sempre una Mercedes, sia sul piano tangibile come sul piano intangibile? E, infatti, Mercedes è divenuta una marca premium.
La localizzazione in Germania della produzione di alto di gamma e dei motori rappresenta il cuore dell’identità del brand: ogni BMW è una autentica emanazione della cultura del Paese, d’altronde, essendo il sovra costo pagato senza alcun problema dal cliente finale, la produzione è perfettamente redditizia.
Non delocalizzare è quindi sia una questione di creatività che di reattività logistica: quando non si ha più un atelier in loco, la creatività si inabissa, perché si perde il contatto con la materia prima e con quel modo di lavorare che è in grado di nobilitare un prodotto generico in un bene del lusso.
Quale/i di queste anti-leggi potresti applicare nel tuo marketing?