La dilagante generazione internet non ama le “cose carine” e va delineando addirittura una vera e propria “estetica del brutto”.

Sono parole uscite dalla bocca di Tim Leake – Chief Marketing & Innovation Officer di RPA Los Angeles – non più tardi dell’altro ieri, lunedì 17 giugno, durante il suo speech d’apertura del Cannes Lions International Festival of Creativity.

Non ho il video dell’intervento, ma posso riportartene un altro in cui Leake esplora alcuni dei temi toccati nel suo discorso, compreso il motivo per cui stiamo assistendo a una strana tendenza: le persone preferiscono interagire attivamente con cose “brutte”, con meme e video che sembrano grezzi, reali e sottodimensionati.

Più veloce, più facile, più economico.

Perché questa potrebbe essere una buona cosa per i marketer?

Secondo Leake – che ha intitolato il suo speech “Ugly sells” – internet sta plasmando letteralmente un nuovo gusto.

Stop alla super-perfezione, la gente se n’è stancata.

“La pubblicità ‘brutta’ funziona e ci stiamo abituando ai suoi parametri. Siamo al trionfo dello Skip Ad: la pubblicità che ‘sembra’ pubblicità viene evitata con intransigenza sempre più spietata, mentre la bruttezza odora di verità”.

Brutto è bello

Leake lo dice chiaramente: i capisaldi da curare meticolosamente sono oggi la storia, la performance, i personaggi e il casting.

Che non è un invito a creare deliberatamente degli orrori, ma a vedere e disegnare la parte di realtà meno evidente del brand: il suo fattore aerodinamico, la sua capacità di attecchire e spostarsi nel mondo.

Che non significa perfezione, visto che una soluzione perfetta che non riesci a spiegare alla gente è destinata a fallire.

Insomma, è l’ennesimo incoraggiamento a spostarsi da un “ridondante perfezionismo autoreferenziale” verso la vera mission di un brand: connettersi al proprio pubblico.